La Mietitura e i tributi, i distretti e Capitol City, i suoni, i nomi, gli edifici e l’atmosfera, tutto nella Panem di Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente è familiare, eppure totalmente estraneo, nuovo e sconosciuto. Da riscoprire.
Il prequel e spinoff della più celebre saga distopica dei nostri anni Dieci – che ha consegnato Jennifer Lawrence al Pantheon delle divinità pop – è diretto sempre da Francis Lawrence, ed è tratto dal libro omonimo di Suzanne Collins del 2020. Arriva nelle sale dopo otto anni dall’ultimo capitolo cinematografico (Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte 2), accettando una doppia sfida: il ritorno sullo schermo senza la sua eroina protagonista, Katniss Everdeen, e la difficile conquista del pubblico attraverso la storia del personaggio più crudele della saga, Coriolanus Snow.
Snow, distante e affascinante
Snow, il presidente-dittatore di Panem, è colui che “cade sempre in piedi”, per rispettare l’ossimoro delle sue stesse parole (“Snow lands on top”). Mantiene le distanze e le apparenze ma ne La ballata dell’usignolo e del serpente non è ancora l’assassino gelido e calcolatore della saga originale, a cui dà il volto un anziano Donald Sutherland. È immaturo, furbo ma non sempre razionale, spinto dalla fame e dal bisogno di denaro ad accettare – e abbracciare – la brutalità degli Hunger Games, fino a ridefinirne le stesse regole e diventarne il principale stratega.
Volutamente sfuggente e impermeabile, dietro ai suoi occhi celestissimi e trasparenti, è Tom Blyth, il ragazzo della scuola Juilliard scelto dal regista proprio per la sua somiglianza – nei modi e nell’eleganza sofisticata – al grande Sutherland.
Il pubblico sa chi diventerà quel ragazzo, ma non sa chi è stato. Ed è a lui che si affeziona fin dalla prima scena, allineandosi al suo punto di vista, fino a capire – senza mai giustificare – gli abissi più profondi e scuri della sua anima, quando iniziano a rivelarsi. È un’avvincente e soprattutto soddisfacente origin story del “cattivo”, la sua: una spiegazione lineare dei traumi vissuti e rielaborati attraverso una graduale trasformazione. Una crudeltà senza morale che non può essere arginata, nemmeno dal più naturale dei cliché, in questi casi, l’amore.
L’usignolo è il serpente (e viceversa)
Come un rumore di fondo, leggero ma costante, le tre parti distinte in cui si divide La ballata dell’usignolo e del serpente sono tenute insieme dal legame che si crea nel tempo tra il freddo e introverso Coriolanus e l’esuberante, impertinente ed emotiva Lucy Gray (come la poesia di William Wordsworth) Baird, interpretata da Rachel Zegler.
Lucy Gray, tuttavia, non è mai davvero co-protagonista in una scena divorata da Blyth in ogni momento. E non è questione di chimica né di complicità fra i due, che pure si percepisce, a indebolire la linea romantica del film ma la consapevolezza sottintesa che uno, Snow, prevarrà sull’altra.
Il loro rapporto si nutre di ambiguità, come ha spiegato il regista a The Hollywood Reporter Roma, ed è questo che lo rende interessante. Entrambi si somigliano più di quanto credono quando iniziano a innamorarsi, condividono gli stessi bisogni, ma nessuno dei due è del tutto affidabile. La loro storia “non può essere guardata in bianco e nero”, è in una zona di grigio in cui convivono elementi diversi e contraddittori, in cui non solo Snow è il serpente velenoso e Lucy Gray l’incantevole usignolo, ma entrambi sono sempre entrambe le cose, nello stesso momento.
Katniss implodeva, Lucy esplode
Non avrebbe potuto essere più distante dalla Katniss di Jennifer Lawrence, in ogni caso, la Lucy Gray di Rachel Zegler. Dove Katniss implodeva, lei esplode: nell’abbigliamento, nella gestualità, nel linguaggio, nella voce.
Se Katniss aveva arco, frecce e una mira infallibile, Lucy Gray ha il canto e la capacità di emozionare. Lo mostra subito, nel suo abito arcobaleno in mezzo alla marea di tessuti grigi del Distretto 12, mentre intona una canzone piena di disprezzo per chi la sta mandando a morire come tributo nell’arena degli Hunger Games.
Nothing you can take from me was ever worth keeping!, “niente che potete togliermi andava la pena di essere trattenuto, in ogni caso”. Canta così, dal vivo, Zegler e la sua voce freme di rabbia, mentre dà vita e suono vibrante, quello del bluegrass, ai testi dei brani già presenti nel libro di Suzanne Collins. Attraverso la musica Lucy Gray interagisce con il mondo, fino a usarla per attirare il favore del pubblico di Panem o come arma e strumento di sopravvivenza nell’arena dei giochi mortali.
Diventare spettacolo
Guardare ed essere visti è un tema da sempre presente e fondamentale della saga di Hunger Games, ma messo particolarmente in risalto dalla Ballata, che non a caso racconta i primi giochi trasmessi in televisione. Nel momento in cui le telecamere si accendono sui ventiquattro tributi, il cui solo scopo è uccidersi l’uno l’altro, l’obiettivo non è più restare l’ultimo sopravvissuto, ma “diventare spettacolo”.
Il giovane Snow, nel ruolo di “mentore” e guida del tributo Lucy Gray, diventa anche il regista della sua performance, che dall’esterno detta i tempi e prevede gli applausi. Ogni mossa che Snow architetta per aiutare Lucy Gray non solo comporta una morte in più dentro l’arena ma incrina la sua integrità fino a distruggerla del tutto.
Nessun gesto è innocente. E nel bivio rappresentato dai rimorsi colpevoli del creatore degli Hunger Games, il decano Highbottom (Peter Dinklage) e dalla follia libera e malvagia della stratega dei giochi, la dottoressa Gaul (Viola Davis), Snow sceglie di seguire l’esempio della seconda. L’unica in grado di spiegare – a lui e al pubblico – a “cosa servono davvero gli Hunger Games”. A riconoscere e accettare la natura violenta di ogni essere umano.
Vincono i cattivi, quindi? Sì, in parte. Era questo il patto iniziale con gli spettatori. Ma la storia di Snow e degli Hunger Games non è finita, anzi è continuamente evocata, nascosta in bella vista, tra rose bianche, fiale di veleno e le familiari note dell’Hanging Tree che risuonano e anticipano il conclusivo canto della rivolta. Per gli occhi e le orecchie dei fan più attenti, in grado di cogliere tutti i riferimenti. E divertirsi nel farlo.
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