La giocosità e lo spirito da B-movie rinnegato che hanno rinvigorito gran parte della filmografia della one-man-band di Robert Rodriguez sono in gran parte assenti da Hypnotic. Un’assenza accentuata da un Ben Affleck ultra-serio in modalità guru della cupezza. Se si riesce a superare tutto questo, il thriller è ragionevolmente avvincente, anche se con un leggero sentore di naftalina che tradisce le sue radici ventennali. Rodriguez dice di essersi ispirato a una riedizione de La donna che visse due volte, ma il risultato, più che Hitchcock, sembra un surrogato di Christopher Nolan, con un pizzico di Matrix.
Il regista, che si divide le mansioni di sceneggiatore con il veterano del MonsterVerse Max Borenstein, è al suo meglio qui con le sue montature elaborate, mantenendo in movimento linee narrative parallele attraverso costanti passaggi di realtà prima di rivelare gradualmente come si intrecciano. Ma una volta che questo accade, Rodriguez si chiude in un angolo, senza alcuna via d’uscita, a parte un anticlimax sentimentale. O perlomeno, questo sembra il caso, finché una sinistra sequenza a metà dei titoli di coda (riusciremo mai a liberarcene?) apre la strada a un sequel, per il quale è improbabile ci sia grande richiesta.
Hypnotic: la trama
Affleck interpreta il detective Danny Rourke, che ci viene presentato mentre sogna ad occhi aperti durante una seduta di psicoterapia e rimugina sul rapimento irrisolto della figlia di 7 anni, Minnie. Il responsabile è stato catturato, ma si è dichiarato non colpevole per infermità mentale e afferma di non ricordare nulla dell’incidente. Ma Danny è convinto che Minnie sia ancora viva e tenuta prigioniera da qualche parte, un sospetto che si intensifica quando Rourke e il suo partner Nicks (JD Pardo) indagano su una serie di rapine in banca e scoprono un possibile legame con la bambina scomparsa.
La persona ritenuta cruciale nelle rapine è un uomo identificato come Dellrayne (William Fichtner). In una cassetta di sicurezza di una delle banche, Rourke trova una polaroid di Minnie con la scritta “Find Lev Dell Rayne”. Questo mette in moto una caccia ossessiva, mentre Dellrayne sembra svanire nell’aria dopo essersi gettato da un grattacielo, dopo aver usato delle tecniche di controllo della mente sui colleghi poliziotti di Rourke. Ma la caccia diventa un gioco del gatto col topo, dato che Dellrayne, a sua volta, inizia a inseguire Rourke, probabilmente con intenzioni omicide.
Accompagnate da un’inquietante colonna sonora da brividi a cura del figlio del regista, Rebel Rodriguez, le scene di apertura si svolgono in modo brusco, con azioni intense e ben costruite e molti intrighi intorno alla figura di Dellrayne. L’uomo del mistero dà a Fichtner una gradita opportunità di mostrare la sua bravura come cattivo: mellifluo, calmo e dalla voce suadente, trae un piacere beffardo dal caos e la violenza che crea intorno a sé e rende degli ignari sconosciuti le sue pedine.
Un Ben Affleck intorpidito
Gli indizi portano Rourke a Diana Cruz, una sensitiva che informa il detective sul fenomeno degli ipnotici. A differenza dei telepati, che possono leggere nel pensiero, gli ipnotici hanno il potere di controllare la mente, riplasmando la realtà di una persona e riorientando i suoi impulsi. La donna spiega che Dellrayne era stato arruolato in un’operazione clandestina del governo nota come la Divisione, progettata per sfruttare le capacità degli ipnotici come strumento di difesa. Ma poi Dellrayne aveva disertato, e anche Diana era fuggita dal programma.
Quando Dellrayne usa i suoi poteri per incriminare Rourke e Diana per omicidio, i due fuggono oltre il confine con il Messico, cercando l’aiuto di vari soci, finché Dellrayne non li raggiunge, inevitabilmente. Ma in uno dei tanti colpi di scena, emerge che l’uomo in abiti eleganti non è l’unico ad avere capacità di controllo mentale. Ci sono anche rivelazioni su “Domino”, un progetto ad alta priorità della Divisione che coinvolge un ipnotico con poteri che fanno sembrare Dellrayne un dilettante.
La Divisione dispone di meccanismi per resettare le menti degli ipnotizzati, il che significa che il tappeto narrativo continua a essere tirato via da sotto il pubblico, perché la realtà della storia continua a spostarsi e le persone si rivelano non essere ciò che sembrano. Non che sia particolarmente difficile da seguire, anche per le frequenti incoerenze.
Affleck porta a termine il lavoro con stoica concentrazione e una pesante coltre di dolore. Ma anche al di là della natura comprensibilmente oppressa di un uomo distrutto dalla perdita, c’è un che di intorpidito nella sua interpretazione, sebbene sia meno letargica che in La legge della notte o Acque profonde.
Una patina insipida
Un po’ più di scintille vengono da Braga, che lascia perplessi su dove risieda davvero la lealtà del suo personaggio. L’attrice rende Diana calorosa, ma anche astuta e piena di risorse, per non parlare della sua abilità con la mazza da baseball in un inseguimento in una città messicana di confine in cui Dellrayne – o qualunque sia il suo vero nome – mobilita una folla di locali contro di loro. Braga, Fichtner e, in un ruolo minore, Dayo Okeniyi nei panni di River, un abile hacker che vive sconnesso dalle utenze in un complesso sgangherato, forniscono al film gran parte della sua linfa.
Girato da Pablo Berron e Rodriguez a Austin e nel backlot dei Troublemaker Studios del regista, Hypnotic presenta alcune belle sequenze di effetti visivi, in particolare quando Dellrayne disorienta Rourke con elaborati costrutti che trasformano il suo campo visivo in un labirinto. Ma per il resto l’aspetto del film non è eccezionale, con una patina insipida che si distingue a malapena dalla media dei lungometraggi realizzati per lo streaming. La sensazione è quella di una contraffazione da parte di un regista che si diletta in un genere che non gli si addice naturalmente e che trova poca gioia nel farlo.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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