Venticinque anni fa, la star di The Truman Show Jim Carrey dimostrò al mondo di essere in qualche modo qualcosa di più di un talento comico generazionale. Grazie alla sceneggiatura di Andrew Niccol, nominata all’Oscar, e alla regia di Peter Weir, vincitore dell’Oscar onorario, Carrey diede prova delle sue doti drammatiche interpretando Truman Burbank, l’inconsapevole protagonista del reality show più popolare del mondo. Nel giorno 10.909 della sua vita trasmessa 24 ore su 24, 7 giorni su 7, Truman inizia gradualmente a capire che c’è qualcosa di strano nella sua esistenza apparentemente idilliaca sull’isola di Seahaven che, a sua insaputa, è in realtà il più grande set del mondo, a Burbank.
Niccol aveva scritto The Truman Show prima del suo debutto nel 1997 come sceneggiatore e regista del film di culto Gattaca – La porta dell’universo, e quindi considera entrambe le opere in un certo senso compagne. Dopo tutto, The Truman Show parla di un uomo che scopre che il mondo che lo circonda è fittizio, mentre Gattaca parla di un uomo (il Vincent Freeman di Ethan Hawke) che assume una falsa identità per entrare in una società ossessionata dall’eugenetica.
“The Truman Show sarebbe in realtà un predecessore spirituale. Ho scritto The Truman Show prima di bri, ma abbiamo dovuto aspettare più di un anno Jim Carrey, quindi Gattaca è venuto prima”, racconta Niccol a The Hollywood Reporter.
Il tono e il genere della sceneggiatura originale di Niccol per The Truman Show erano anche un po’ più in linea con il mondo fantascientifico distopico di Gattaca, ma una volta che Weir ha firmato per la regia, ha optato per un tono più leggero, che includeva la facciata utopica di Seahaven. Originariamente ambientato in una New York alternativa, Niccol rivela anche alcuni degli aspetti più cupi della storia di Truman che sono stati poi scartati durante le sedici riscritture per Weir.
Durante una chiacchierata con THR per celebrare il 25° anniversario di The Truman Show, Niccol ha parlato anche della battuta finale originale del film, prima che cedesse all’amato tormentone di Truman, improvvisato da Carrey.
Partiamo dalle basi: qual è stato il primo nucleo dell’idea che poi è diventata The Truman Show?
Da bambini, pensiamo spesso che il mondo giri intorno a noi. Ho pensato che sarebbe stato interessante se fosse davvero così. È nato da questo, oltre che dalla mia storica e inevitabile paranoia che ci stanno tutti mentendo. Come possono essere veri il guardaroba, i capelli, il trucco, e soprattutto i dialoghi che incontriamo in quelle mascherate che sono le nostre vite quotidiane? E ci sono un sacco di errori di continuità.
Stando a Internet, il trattamento originario era un thriller di fantascienza. Aveva immaginato qualcosa più in linea con il tono di Gattaca? Un successore spirituale, forse?
Sarebbe in realtà un predecessore spirituale. Ho scritto The Truman Show prima di Gattaca, ma abbiamo dovuto aspettare più di un anno Jim Carrey, quindi Gattaca è venuto prima. Avevo effettivamente immaginato qualcosa di più cupo. Nella sceneggiatura originale, c’era un passeggero innocente aggredito in metropolitana, un modo per mettere alla prova il coraggio di Truman, e inoltre aveva una relazione platonica con una prostituta che faceva vestire come Sylvia (Natascha McElhone, ndr).
Dopo l’ingaggio di Peter Weir, pare che abbiate fatto una serie di riscritture per alleggerire il tono della sceneggiatura originale. C’è stato qualcos’altro che è andato perduto lungo il percorso e che rimpiange un po’?
Ho sempre pensato che la premessa fosse a prova di bomba, e anche se la bozza originale è ambientata in una versione alternativa di New York – se si può fingere lì, si può fingere ovunque – sono stato felice di abbracciare la versione di Peter di questo mondo contraffatto, in una piccola città idilliaca.
La scelta di Jim Carrey aveva attirato molta attenzione all’epoca, poiché si riteneva che fosse la sua svolta drammatica dopo una carriera prevalentemente comica. Ha visto subito il potenziale di questa scelta di casting?
Peter è un genio nel convincere gli attori a mettersi in gioco, come ha dimostrato con Robin Williams in L’attimo fuggente e altri. Anche se all’epoca non era la scelta più ovvia, Peter si è subito reso conto di come Jim avrebbe elevato la storia, cosa che ovviamente ha fatto, senza alcun dubbio.
Per quanto riguarda la costruzione delle regole e della logica di quel mondo, quali sono i dettagli su cui ricorda di aver concentrato di più i suoi sforzi? Ad esempio, dato che Truman non ha mai visto la luce del sole, mi è piaciuto molto che il film mostrasse un flacone di integratori alla vitamina D accanto al suo caffè mattutino.
Ci sono state molte discussioni su come avrebbe dovuto funzionare la meccanica del set. C’era anche una versione in cui seguivamo Truman in cielo, e lui incontrava un tour dello studio e un negozio di souvenir tutti dedicati a lui. Alla fine, Peter ha preso la decisione giusta, cioè di chiudere il film quando Truman lascia il set.
“Buongiorno! E casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte”. Christof (Ed Harris) ha in qualche modo condizionato Truman a pronunciare questo tormentone per permettergli di salutare inconsapevolmente gli spettatori di ogni potenziale fuso orario?
Credo che in origine fosse un’improvvisazione di Jim, ma sì, il doppiogiochista Christof ha colto l’occasione al volo e ha fatto in modo che le comparse nella vita di Truman fingessero di essere divertite.
Vi si è accesa una lampadina quando avete capito che il tormentone di Truman doveva essere la battuta finale?
Credo che inizialmente l’ultima battuta fosse: “Non hai mai avuto una telecamera nella mia testa”. Curiosamente, ho in cantiere un film in cui mettono una telecamera nella tua testa. Più o meno.
All’epoca dell’uscita del film, trasmettere la vita di persone reali era ancora considerata una novità, ma oggi le persone trasmettono volontariamente una versione della loro vita sui social media perché tutti la vedano. La sorprende che il film abbia ancora una certa risonanza in un’epoca in cui molte persone vogliono essere le star dei loro “show”?
Quando ho concepito il film, non esistevano i cosiddetti reality show. Dico “cosiddetti” perché ho sempre pensato che Truman sia l’unica vera star dei reality. Quando sai che c’è una telecamera, non c’è realtà. Sono un po’ sorpreso che siamo diventati i nostri stessi Truman, che abbiamo puntato la telecamera su noi stessi e che abbiamo catalogato ogni aspetto delle nostre vite, volontariamente.
Infine, cosa più importante, Truman ha trovato la felicità con Sylvia nel mondo reale, o il “posto malato”, come lo chiama Christof?
Ovviamente, questo si deve lasciare all’immaginazione del pubblico. Alla fine, è sempre meglio se è lo spettatore a scrivere il finale.
Quest’intervista è stata modificata per motivi di lunghezza e di chiarezza.
Traduzione a cura di Nadia Cazzaniga
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma