Dai tempi dello sbarco sulla luna, nulla era mai passato tanto repentinamente dall’immaginazione all’esistenza come successo con l’intelligenza artificiale nel 2023. Quella che ci sembrava fantascienza fino al giorno prima, non solo è diventata realtà, ma è diventata abitudine: a gennaio OpenAI registrava cento milioni di utenti chiacchierare con ChatGPT, lanciato solo due mesi prima. Abbiamo dovuto completamente ripensare il nostro rapporto con le immagini: i giornali ci hanno dovuto spiegare che il piumino del papa non esisteva davvero, foto generate dal computer hanno vinto prestigiosi premi fotografici. Mentre gli artisti, gli attori, i doppiatori protestano, oggi bastano due clic per riprodurre la voce di Gerry Scotti o di Cristiano Ronaldo e fargli dire qualsiasi cosa. Cinquant’anni fa, quando Il mondo dei robot (Wesworld) faceva il suo debutto nei cinema di Los Angeles, l’intelligenza artificiale aveva il cappello da cowboy, il cavallo, e il volto western di Yul Brynner, niente di più immaginario.
Nel film di Michael Crichton, Westworld, tradotto in italiano Westernlandia – erano gli anni Settanta in fondo – è un parco a tema dove i visitatori possono vivere la vita della frontiera, immersi tra pionieri androidi, completamente indistinguibili dagli esseri umani. “Vedrete che vacanza abbiamo per voi”, dice la pubblicità: a Westworld non ci sono solo cavalli e pellerossa, ma prostitute e sparatorie. Agli uomini è dato il potere di ferire e di uccidere liberamente gli androidi, che invece sono programmati per non fare del male.
Ma come nella storiella del calabrone che non dovrebbe poter volare ma non lo sa e vola lo stesso, gli androidi si scordano di non poter uccidere gli umani e cominciano a farli fuori.
Sui parchi a tema dove la scienza si è spinta troppo oltre, Crichton ci fece una carriera. Negli anni novanta pubblicava il suo romanzo più celebre, Jurassic Park. L’uomo di Crichton sconfigge l’estinzione, ricrea gli esseri umani, e puntualmente viene punito, non per essere andato oltre ma per aver reso le sue creazioni fenomeni da baraccone. Come per Icaro, il divertimento rende l’invenzione fatale. Che il bisogno di intrattenimento sia il motore della scienza è la più fertile intuizione dell’autore americano e il suo cinema lo conferma.
Mentre Jurassic Park ha reso la poco utilizzata CGI lo standard dell’industria cinematografica americana, Il mondo dei robot è il primo film in assoluto a farne uso. In un momento iconico, il film usa immagini create al computer per ricreare lo sguardo di un computer. Con delle inquadrature in soggettiva, vediamo il mondo come lo vede l’androide, ed è pixelato.
Sul viso di Yul Brynner rimosso dagli scienziati a mostrare gli ingranaggi, e nei suoi occhi grigio opaco, sta il potere del film, che non coglie tutte gli stratagemmi narrativi e le implicazioni filosofiche nascoste nella propria trama, come farà invece la serie HBO, quarant’anni più tardi. Mentre Stanley Kubrick immortalava l’intelligenza artificiale nel rosso occhio robotico di HAL 9000, Crichton gli dava un volto e un corpo umano.
Ne Il mondo dei robot, le mani permettono di distinguere gli uomini dai robot, perché la parte del corpo più difficile da ricreare. Crichton ci aveva visto lunghissimo: le immagini che creava Midjourney, fino a qualche mese fa, erano sì incredibilmente realistiche, ma l’IA era incapace di ricreare le mani umane. La tecnologia va veloce e oggi Midjourney crea mani perfette.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma