La piattaforma Twitch ha stravolto il mondo dell’intrattenimento, rivoluzionandolo. Nel periodo pandemico il servizio streaming di proprietà di Amazon ha rappresentato per le persone – la Gen Z in particolare – una fonte di intrattenimento molto popolare: come fenomeno mediatico era già sulla cresta dell’onda, ma soltanto adesso il suo status è quello di una delle tante “istituzioni” del web, al pari dei grandi social network della Silicon Valley.
Acquistata nel 2014 da Amazon per quasi un miliardo di dollari, secondo Business Insider Twitch ha raggiunto nel 2018 gli stessi “spettatori” delle reti via cavo statunitensi Cnn, Msnbc, Fox News ed Espn. Ma come nasce Twitch, e cos’è esattamente?
Come le televisioni private
Nata a San Francisco come costola di Justin.tv (una startup del 2007 poi confluita nel 2011 nella stessa Twitch), la piattaforma è la televisione del futuro. Un nuovo modo di concepire l’intrattenimento, interattivo e coinvolgente, che si basa su contenuti generati dagli stessi utenti: chiunque può trasmettere e può essere spettatore. Basta un pulsante per andare in diretta, mostrare in “mondovisione” il proprio format e interagire con il “pubblico” via chat.
Contenuti estremamente originali e variegati, mandati in rete con la stessa disinvoltura con cui, all’inizio degli anni Ottanta, le reti private mandavano in onda i propri programmi.
Quarant’anni fa si parlava di “far west delle frequenze”: con le debite differenze, anche Twitch si muove in un panorama normativo dai confini non proprio chiari. Chi opera su Twitch deve accettare le mutevoli regole – in termini di compensi e contenuti – stabilite dalla piattaforma. Ma in un paese come l’Italia, ad esempio, la professione di chi crea contenuti su Twitch (e sul web in generale) non è inquadrata dal punto di vista contributivo, nonostante i ricavi derivati dalla pubblicità e dalle visualizzazioni.
I contenuti: un social per i videogiochi (e non solo)
Sul lato dei contenuti – come accadde nelle tv private: si pensi al “caso” Wanna Marchi – Twitch ha molte luci e altrettante ombre. C’è il trash, ci sono trasmissioni dedicate al gioco d’azzardo (e abbondantemente sponsorizzate). Ma ci sono anche trasmissioni ben curate, che non hanno niente da invidiare ai prodotti della televisione tradizionale, e che anzi sfruttano la qualità originale della piattaforma: l’interazione diretta con gli utenti in un ambiente informale, che fa sentire il pubblico coinvolto. Le potenzialità ci sono tutte: basta farci caso.
La nascita di Twitch è legata a doppio filo al mondo dei videogiochi e del “gaming”. Gli utenti mandano in diretta lo schermo del proprio dispositivo mentre giocano, intrattenendo gli spettatori in un format che nel gergo è chiamato gameplay. Oggi tuttavia, anche se i contenuti sui videogiochi continuano a rappresentare una fetta importante dell’offerta della piattaforma (con grandi interessi del marketing), Twitch si è evoluta e adattata alla realizzazione di format diversi: prodotti ispirati a quelli della tv tradizionale, come i talk show e i programmi di informazione, o “nativi” della piattaforma, come il cosiddetto Just Chatting – una trasmissione in cui l’autore “divulga” il proprio contenuto (anche scientifico o culturale) con gli utenti che seguono e commentano nell’apposita chat. Ed è proprio la diretta interazione a fare il successo della piattaforma: tutto sembra più “naturale” e meno formale che in tv.
I “canali” – si chiamano così i profili degli utenti – permettono tanto altro. In Twitch c’è infatti una forte componente ludica: si possono “sbloccare” premi o ricompense per la fedeltà a un certo tipo di contenuti, o guardare film in compagnia (attraverso Prime Video), commentando in tempo reale. È la cosiddetta “reaction”, un format molto diffuso su internet: nient’altro che una rimodulazione contemporanea del caro, vecchio, cineforum.
Un fenomeno culturale, ma anche un lavoro
Proprio come YouTube, anche Twitch ha creato lavoro. Chi carica contenuti sulla piattaforma può guadagnare dei soldi: nel caso degli autori più popolari le cifre raggiungono la dignità di uno stipendio – a volte anche considerevole. Si guadagna attraverso gli abbonamenti mensili, con cui gli utenti “sostengono” il creatore di contenuti preferito, e la pubblicità, inserita da Twitch durante le trasmissioni, per la quale gli autori ricevono una certa percentuale. È possibile inoltre stringere accordi commerciali personali, diventando di fatto testimonial (influencer) di un prodotto.
C’è chi fa di Twitch una cassa di risonanza della propria professione principale o delle proprie passioni, un po’ come un commerciante che si faccia pubblicità sui social, ma attraverso format di intrattenimento. Altri, invece, considerano Twitch il lavoro principale, “dipendenti” dagli introiti e dalle regole della piattaforma. Senza tuttavia mai essere inquadrati come veri dipendenti. “Non è possibile individuare un vero e proprio rapporto di dipendenza, come avviene nel lavoro subordinato,” afferma l’avvocato Giuseppe Croari, esperto di diritto informatico e degli influencer. “La maggior criticità sta nel fatto che Twitch è una piattaforma in una situazione di monopolio, in cui i rapporti di moderazione e promozione sono quasi del tutto automatizzati attraverso le valutazioni degli algoritmi”.
I creatori di contenuti o influencer – al momento – non sono una professione riconosciuta dalla legge italiana. “Stiamo ancora aspettando il codice Ateco”, afferma la creatrice Sara “Kurolily” Stefanizzi, facendo riferimento al codice di Attività commerciale (Ateco) utile al pagamento dei contributi. Eppure quello dei content creator è un settore in continua crescita. “Ci sono state alcune proposte di legge ma manca una regolamentazione ad hoc,” afferma Croari. E aggiunge: “Per il codice Ateco la situazione è critica, perché spesso accade che il creatore porti sul canale Twitch il proprio lavoro principale”.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma