Jeff Kaufman è uno di quegli uomini di cinema – produttore, regista, sceneggiatore – la cui competenza è pari solo a una passione, civile e creativa, inesauribile. Lo raggiungiamo a Parigi, mentre sta portando avanti l’ultima campagna a favore di Nasrin Sotudeh, attivista iraniana e prigioniera politica, che proprio il 30 maggio compie 60 anni, e se non fosse stato per uno stato di salute molto precario avrebbe festeggiato per la quinta volta gli anni dietro le sbarre della prigione di Evin, a Teheran.
Questo 30 maggio 2023 è anche il giorno che Sky Documentaries ha scelto per programmare il documentario Nasrin – Voce del popolo. alle 21.15 (sarà disponibile anche su Now e on demand, ovviamente) diretto proprio dal cineasta statunitense. “Ovunque si trovi, ogni individuo pretende di poter vivere una vita dignitosa” è la risposta a chi la irrita, tra i suoi connazionali, con la frase che lei ritiene insopportabile e irricevibile: “La nostra religione, le nostre usanze seguono principi differenti, i diritti umani sono un concetto puramente occidentale”.
Nasrin ha combattuto sempre per i diritti delle donne, dal 2003 poi si è spesa anche per i bambini e i prigionieri LGBT, le minoranze religiose, i giornalisti e gli artisti vessati, imprigionati e in alcuni casi condannati a morte solo per avere esercitato la libertà di parola e d’opinione (non a caso tra i suoi sostenitori più fervidi c’è il regista Jafar Panahi, che nel bellissimo film Taxi la ospita in una delle sue corse). L’hanno arrestata nel 2018 solo per aver fatto il suo lavoro d’avvocato, ovvero aver rappresentato alcune donne che protestavano contro la legge iraniana sull’hijab obbligatorio: le è costato una condanna a 38 anni di carcere e a 148 frustate.
Ma ha continuato a sfidare le autorità mentre Amnesty International raccoglieva per lei più di un milione di firme in 200 paesi. Nel documentario, narrato dalla voce di Olivia Colman e costruito grazie a una rete solidale di sostenitori di Nasrin (tra cui Shirin Ebadi, Narges Hosseini, Reza Khandan, suo marito e anche lui attivista, Mansoureh Shojaee e tanti altri) che hanno introdotto videocamere anche laddove era proibito e hanno contribuito a un vero e proprio film partecipato, scopriamo quanto Nasrin Sotudeh sia stata di ispirazione per tante. Da premi Nobel alle ragazze che protestano e purtroppo vengono arrestate, molestate, picchiate e uccise per strada.
Come è riuscito a girare questo film in un paese che censura anche i pensieri?
Anni fa girai un film sulla persecuzione della fede Bahà’ì in Iran con Amnesty International: riuscii a lavorare con dei cameraman locali per ottenere delle riprese molto specifiche per il lavoro che stavo facendo. Quando avvicinai Nasrin per girare il documentario su di lei, alcuni anni dopo, ho trovato il clima in Iran molto più teso ed è stato più difficile trovare persone disposte a mettersi a rischio, a lavorare con un occidentale. Non volevamo che nessuno andasse in prigione per colpa nostra. Abbiamo sempre detto a Nasrin ‘non fare nulla che pensi ti metterebbe nei guai, non ne vale la pena’. Ma siamo comunque riusciti a lavorare con persone molto talentuose e coraggiose che non solo hanno seguito Nasrin da vicino, come si vede nel film: per strada, durante le sue proteste, nelle librerie, nelle gallerie d’arte, infine in prigione. Azioni impavide di persone che meritano la nostra massima fiducia, e che hanno servito benissimo il progetto. Abbiamo detto a tutti quelli che lavoravano al film: ‘Vi preghiamo di essere coscienti del rischio, di stare attenti. Non vogliamo farvi finire in prigione’, ma loro hanno messo la causa al di sopra di tutto. Non so come avrei reagito se uno di loro avesse pagato a causa nostra.
Sarà una domanda apparentemente infantile, ma secondo lei dove affonda questo odio ancestrale per le donne dell’Iran?
In Iran è solo più evidente. Ma anche nel mio paese, gli Stati Uniti, i politici demonizzano alcuni gruppi per aumentare il proprio potere. Un comportamento che crescendo esponenzialmente negli Stati Uniti ed è molto triste. Leggi e opinione pubblica per fortuna rappresentano un minimo argine a questa deriva.
La stessa cosa è avvenuta nei secoli in ogni angolo del mondo: l’emarginazione sistematica di alcuni gruppi, spesso le donne, per ottenere il potere. Nasrin ha detto una cosa molto forte in una conversazione che abbiamo avuto di recente, dopo che abbiamo fatto ripartire una campagna fondata sull’uso di una spilla con la scritta ‘Mi oppongo all’hijab obbligatorio’, su un’idea di suo marito e del suo amico Farhed, di cinque anni fa.
Quelle spille furono confiscate e i tre autori incarcerati: a proposito di quell’evento, che la costringe ora a una vita da detenuta, Nasrin mi ha detto che il governo non solo cerca di controllare le donne imponendo l’hijab, ma anche gli uomini. È un gancio emotivo per entrambi. Lei, il marito e tutti i suoi sostenitori vogliono rompere quel recinto e restituire la libertà non solo alle donne, ma a tutto il consesso sociale.
Vedendo il suo film, ci rendiamo conto che l’Iran conquista per breve tempo le prime pagine indignate dei giornali occidentali, per poi, per anni, vessare il proprio popolo nel silenzio assoluto di tutti.
Non è solo che se ne dimenticano. Penso sia un’ignoranza voluta. Gli USA e l’Iran, l’Occidente e l’Iran hanno una relazione molto complicata. Gli USA sono stati coinvolti in un colpo di stato che ha distrutto la democrazia in Iran, non dimentichiamocelo mai. Un paese con una cultura e una storia straordinarie, culla di scienze e fondamento di gran parte del sapere del mondo intero, e al contempo un luogo che ha un’orribile storia di abusi dei diritti umani ormai pluridecennale. Una delle cose che ho imparato nel mio lavoro è che il popolo iraniano è affascinante, complicato, resiliente. Ha un’enorme cultura cinematografica, artistica, musicale, teatrale. Non penso che l’Occidente capisca veramente la profondità e il potenziale di quel paese. Non possiamo imporre le nostre idee su di loro ma, come direbbe sicuramente Nasrin, possiamo usare il meccanismo internazionale dei diritti umani per dare forza a quel movimento e fare pressione sul governo iraniano perché rispetti i diritti fondamentali del popolo. Perché il governo iraniano è l’orrore, ma quella massa di donne e uomini che protestano per la libertà sono amore puro, coraggio, forza.
Sconvolge come ci sia anche una resilienza negativa, nei confronti di queste battaglie. Quasi che una maggioranza o minoranza silenziosa iraniana fosse convinta di non meritare questi diritti?
È quello che direbbe il governo iraniano. Quello che le persone al potere dicono, quello che intendono, è che vogliono i diritti per se stessi. Negare agli altri quello che vogliono per sé. Recentemente uno dei vicepresidenti iraniani ha detto una cosa molto interessante: ‘Non puoi scollegare l’hijab, il velo obbligatorio per le donne, dall’identità nazionale iraniana stessa’. Questo significa che secondo la loro visione non si può separare la discriminazione delle donne dalla loro idea di Iran. Il che è orrendo. Tutti hanno il diritto di vivere una vita fatta di opportunità. Uomini e donne.
Che reazioni ci sono state in Iran al film?
So che il film è stato proiettato in Iran, se ne è discusso molto. Io spero e credo che tutti abbiano capito che la nostra intenzione è condannare le violazioni dei diritti umani, non andare contro il popolo iraniano. Proponiamo una visione positiva del carattere del popolo iraniano, lo volevamo celebrare. Nasrin Sotudeh è una figlia di questa grande cultura, di questa umanità straordinaria. Nasrin è il vero Iran, non i politici e gli ayatollah.
Il marito di Nasrin Sotudeh, Reza, ha rischiato varie volte il carcere, è una figura stoica e commovente. Cosa le è rimasto del rapporto con questa coppia?
Ammirazione e dolore. Nasrin è stata mandata a casa perché malata. Ha avuto dei gravi problemi al cuore e pure il Covid in prigione. Reza, per quella storia delle spille, ha ancora pendente, sulla testa, una sentenza a sei anni di carcere. La cosa incredibile è che entrambi potrebbero tornare in prigione in qualsiasi momento, ma questo non li ferma. Sono impegnati come prima, anche di più.
Reza, a suo modo è un’icona di questa battaglia di libertà. Combatte, come maschio, i privilegi che il sistema iraniano gli dà
Sono d’accordo, mi piace che tu l’abbia detto. Reza è una persona incredibile. È l’immagine di come un uomo musulmano potrebbe essere: dedito all’uguaglianza per tutti. È una persona fantastica.
Pensa che farà altri film su Iran o ormai è impossibile?
Ne abbiamo fatto uno breve per Time Magazine, sulla storia dei movimenti per i diritti delle donne. È uscito un paio d’anni fa e lo hanno riproposto varie volte. Adoro le persone con le quali abbiamo lavorato. Se riusciremo, continueremo. Combattere per la libertà in Iran serve a tutto il mondo: c’è chi ci dice che negli Usa di una nuova presidenza Trump, o nell’Italia attuale, non si possono creare le condizioni perché accada ciò che vivono a Teheran e dintorni. Sbaglio o in entrambi i paesi diritti sacrosanti come l’aborto sono stati violati, negati o messi in discussione? Se Nasrin e Reza continuano, nonostante la paura di subire condanne e violenze fisiche, perché io dovrei smettere di combattere per i valori in cui crediamo?
E noi cosa possiamo fare per aiutarvi?
Innanzitutto penso sia importante per individui, gruppi e paesi, supportare i diritti umani nel mondo. Dai comportamenti quotidiani alle manifestazioni in strada, fino all’attivismo. Guardare al proprio paese e supportarli in casa propria, mantenendo la pressione sull’Iran per aiutare i prigionieri politici e i movimenti umanitari. Incoraggerei i vostri lettori ad informarsi sulla campagna web ‘Mi oppongo all’hijab obbligatorio’, nata in conseguenza agli accadimenti del 2018 in Iran, che si collega alle proteste di Masha Hamini. Un modo molto semplice di dire ‘appoggio i diritti delle donne ovunque, in ogni paese. Di indossare, pensare, e fare ciò che vogliono’. Spero possiate usare il link al sito web della campagna.
Da produttore sta pensando di fare film con registi iraniani?
È un’ottima idea. Ci sono tantissimi registi pieni di talento e vitalità e molti di loro sono stati messi sotto pressione dal governo. Pensa a Jafar Panahi, che è stato rilasciato recentemente. Gli era stato proibito per 20 anni di fare film, eppure lui ha continuato. E sono opere meravigliose, proprio per le condizioni in cui le ha girate. Jafar è un esempio di ciò che un artista dovrebbe essere in qualsiasi paese. Onesto con se stesso, coraggioso, personale. Amo il suo lavoro.
Il cinema per lei è come una missione?
Amo quest’arte, questo modo di comunicare. Mia moglie è una direttrice di casting e lavora con me da sempre. Abbiamo la fortuna di condividere gli stessi valori, nella vita e nel cinema. Quando ero piccolo amavo tre cose: l’arte, la politica e i vecchi film. Molto vecchi: John Ford, Howard Hawks, Preston Sturges, e più recentemente Micheal Ritchie. Hanno cambiato la mia vita con le loro opere. I film hanno un potere incredibile. Spero che continueremo a trovare modi per renderli rilevanti, nuovi ed emozionanti. In questo senso, sì, è una missione. Non solo politica, ma anche artistica.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma