I Fantastici 5, parla Raoul Bova: “La vera disabilità, spesso, è quella interiore”

“Da ex atleta ho sempre sperato di avere un allenatore che mi parlasse e aiutasse a tirare fuori quelle che erano le mie paure, le mie ansie, tutto quello che mi bloccava a livello di sentimenti” ha raccontato l'attore che nella serie prodotta da Lux Vide interpreta il coach di un gruppo di campioni paralimpici. Su Canale 5 dal 17 gennaio. La video-intervista di THR Roma

Un passato da atleta, nel nuoto, che poi ha lasciato spazio ad una fortunata carriera nel cinema e nella serialità. Ora Raoul Bova, grazie a I Fantastici 5 – serie Mediaset prodotta da Lux Vide dal 17 gennaio in prima serata su Canale 5 – torna all’agonismo interpretando Riccardo Bramanti, allenatore di un gruppo di atleti paralimpici della società sportiva di atletica leggera Nova Lux.

L’occasione per rilanciarsi ad alti livelli grazie a quattro velocisti, costantemente sotto i riflettori della stampa, che si devono preparare agli Europei che si svolgeranno di lì a tre mesi. Greta, amputata e con una protesi alla gamba sinistra; Christian (Vittorio Magazzù), in sedia a rotelle; Elia (Enea Barozzi) con difficoltà neuronali legate al movimento; Marzia (Fiorenza D’Antonio), cieca. Insieme a loro Laura (Chiara Bordi), una ragazza amputata ad una gamba appena arrivata al centro ma di cui Riccardo intuisce subito le potenzialità.

Raoul Bova, allenatore mental coach

Ma com’è stato tornare, anche se solo per finzione, in un mondo agonistico? “Molto bello” confida l’attore a THR Roma. “Soprattutto vivere dal punto di vista dell’allenatore che diventa quasi un mental coach. La persona che tecnicamente forse non è la più preparata a livello tecnico, non punta sulla preparazione e sul gesto, ma sulla parte interiore di ogni atleta. L’aspetto per me più importante. Mi ha affascinato perché è la cosa che avrei sempre voluto fare”.

“Da ex atleta ho sempre sperato di avere un allenatore così, che mi parlasse, che mi aiutasse a tirare fuori quelle che erano le mie paure, le mie ansie, tutto quello che mi bloccava a livello di sentimenti e di sensibilità” continua Bova. “Perché la mia vera disabilità è stata proprio l’emozione, l’emotività. E l’ho pagata con lo sport. Avere la possibilità di essere un allenatore che trasmette ai propri atleti e fa capire quanto è importante l’interiorità e la felicità e il modo di approcciare lo sport – e quindi la naturalezza e la leggerezza – è stato veramente un grande regalo”.

La differenza tra passione e ossessione

Tra i temi che affronta la serie c’è anche il racconto di quel filo sottilissimo che divide la passione dall’ossessione, due realtà che spesso finiscono per intrecciarsi. “Sono caduto anch’io un po’ in quella piccola trappola. Ero reduce sempre dallo sport che mi ha portato a fare quel passaggio tra la passione e l’ossessione e poi dalla vittoria alla sconfitta”, confida l’attore.

“A quel punto ho capito quanto era importante, invece, mantenere la passione. Ciò non ti esclude dall’eventuale errore, però sai come uscirne fuori nel momento in cui cadi. È fondamentale mantenere la passione, è quello che trasmette il mio personaggio a questi ragazzi che diventano dei fantastici, perché scoprono una libertà. E lo sport deve essere questo: libertà, gioia, felicità. Non deve essere una costrizione, una gabbia che ti impone di essere per forza una persona performante e quindi vincente per essere riconosciuta, ma una condivisione con gli altri”.

Uno sguardo diverso sulla disabilità

I quattro atleti protagonisti de I Fantastici 5 daranno filo da torcere all’allenatore interpretato dall’attore. Caratteri spigolosi che rappresentano il punto di forza della serie che vuole tenersi alla larga da facili pietismi. “Un punto di vista completamente diverso, differente, non convenzionale, ma interessante. Non si può compatire per forza chi è disabile. Soprattutto forse non lo vogliono loro in primis. Anzi, vogliono essere considerate persone normali, sia nei pregi che nei difetti. E fondamentalmente sono persone normali” conclude Bova. “La disabilità, spesso, è quella che noi abbiamo anche interiormente. Quello che ognuno di noi è, la difficoltà che si ha nell’approcciarsi alla vita e manifestare se stesso. Non sempre la disabilità è quella fisica, può anche essere quella interiore”.