Che ridere, se fa ridere, il cinema in tv. Ma se non fa ridere, allora c’è un problema. Ispirata alla vita vera di Carlo Verdone, la serie fanta-biografica Vita da Carlo 2, su Paramount + dal 15 settembre (con le prime tre di dieci puntate), il metacinema non poteva proprio evitarlo. Perché parla della quotidianità di un artista, perché l’artista in questione è assai popolare, e perché il personaggio che si è cucito addosso – nella vita, non nei film – paga ogni giorno le conseguenze della sua stessa fama. Una vita fatta di contrasti: l’essere riconosciuto come un grande attore ma vivere perennemente nell’ansia, avere ambizioni da autore drammatico e vedersi chiedere solo commedie, sentirsi voce del popolo ma appartenere all’agiata borghesia romana.
Temi che tornano nella seconda stagione della serie, diretta da Valerio Vestoso con Verdone, in cui l’attore – vinte le resistenze del suo pecoreccio produttore, Ovidio Cantalupo – riesce finalmente a farsi finanziare il film che ha sempre sognato: Maria F., storia autobiografica dell’amore impossibile tra lo stesso Carlo, all’epoca ventenne, e una giovane prostituta. Non tutto, naturalmente, va per il verso giusto. Il produttore impone come quota giovane del film il cantante Sangiovanni (nella parte di sé stesso: bravo. Ha ragione Verdone a dire di non aver mai sbagliato il casting dei film); l’attrice scelta per il ruolo (Ludovica Martino) detesta il suo partner, il ragazzo ha insicurezze croniche che lo rendono fragile e indeciso. In mezzo, l’ordinaria straordinaria vita di Verdone: l’amico invadente (Max Tortora), il collega fuori di testa (Fabio Traversa), i casini in famiglia, i fan sempre più esigenti.
Lo schema è lo stesso della prima stagione, ma qualcosa nel racconto non funziona. La serie paga l’uscita dal team di scrittura di Menotti e Nicola Guaglianone (ideatori del progetto insieme a Verdone), affidata a Pasquale Plastino, Ciro Zecca e Luca Mastrogiovanni, che cercano – senza azzeccarlo – un tono da commedia dolce-amara. Si ride poco, insomma. E là dove la piega del racconto si fa più seria, manca la profondità necessaria per entrare davvero in empatia con i personaggi. Protagonista incluso.
Le due linee narrative della serie, Verdone al lavoro e Verdone in famiglia, parlano due lingue diverse: sopra le righe e vagamente cialtrona la prima, rassicurante e family la seconda. Da una parte battute sguaiate, umorismo da barzelletta, largo ricorso alla scurrilità e un’imperdonabile superficialità anni Novanta nel tratteggiare i personaggi femminili (peccato per Monica Guerritore, ex moglie nevrotica, e Stefania Rocca, amor platonico del 72enne Carlo). Dall’altra temi e personaggi tarati su una prima serata Rai, ordinari e senza guizzi: il figlio avvocato in erba che si batte contro la mafia (di Ostia) e la figlia incinta che si riprende in casa il fidanzato squattrinato (che fa il rider – idee ne abbiamo? – ma se ne vergogna).
Indecisa tra il fan service – cameo notevoli di De Sica e Gerini: altri ne verranno – e la volontà di conquistare un pubblico più largo, Vita da Carlo 2 finisce per muoversi in un’inedita terra di mezzo che rischia di scontentare tutti: quella, spericolata, tra un cinepanettone e Don Matteo.
Le prime tre puntate della serie sono state fornite alla stampa per la recensione.
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