Il finale “rimaneggiato” di Attrazione fatale (1987) di Adrian Lyne è uno degli errori più riusciti della storia di Hollywood.
Un tradimento di tutto ciò che di tematicamente interessante c’era nel film e nel personaggio di Alex Forrest interpretato da Glenn Close – trasformata in una cattiva assassina praticamente invincibile – che riuscì tuttavia a creare un climax perfetto, capace di esaltare il pubblico assetato di sangue e fare di Attrazione Fatale un blockbuster tra i migliori dei suoi tempi.
Quella conclusione violava a tal punto la struttura della sceneggiatura immaginata da James Dearden che non è una sorpresa che oggi sia stata proposta una rielaborazione del film nel formato esteso della serie. È sorprendente, piuttosto, che ci sia voluto così tanto tempo per farlo.
Attrazione fatale: dal film alla serie tv
“C’è solo un modo per concludere qualcosa”, afferma Alex (Lizzy Caplan) nell’ottavo e ultimo episodio di Attrazione fatale di Paramount+. “C’è solo una decisione da prendere. Come pensi di arrivarci?”.
Purtroppo il nuovo finale della serie non offre alcun miglioramento rispetto all’originale di Lyne, spietatamente efficiente, e il viaggio compiuto (a fatica) dallo spettatore per arrivarci non lo è altrettanto. Nonostante le eccellenti performance degli attori, questa versione non riesce a trovare la via di mezzo desiderata tra brivido voyeuristico e sfumature psicologiche e, a dispetto delle possibilità in campo, non riesce a inserirsi nello Zeitgeist.
In questa versione di Attrazione Fatale, tra l’altro, non viene fatto del male a nessun coniglietto: ciascuno deciderà in coscienza se sia un fatto positivo o negativo.
Gli autori della serie, Alexandra Cunningham e Kevin J. Hynes, hanno spostato l’azione a Los Angeles (o su set più economici, con alcune riprese a Los Angeles) e hanno condotto la narrazione su due piani.
Attrazione fatale: la trama della serie
Nel presente, Dan Gallagher (Joshua Jackson) è in libertà vigilata dopo aver scontato 15 anni per aver ucciso Alex Forrest. Dopo aver assistito alla distruzione della sua vita professionale, della sua famiglia e della sua capigliatura a causa dell’incarcerazione, Dan cerca di riallacciare i rapporti con la figlia Ellen (Alyssa Jirrels), mentre collabora con il suo amico investigatore Mike (Toby Huss) per riabilitare il suo nome per un omicidio che insiste di non aver commesso.
Nel 2008 vediamo Dan approssimarsi al suo 40° compleanno da uomo che, apparentemente, ha tutto. È un avvocato in rapida ascesa nell’ufficio del procuratore distrettuale ed è in lizza per un posto da giudice. Ha una moglie bellissima e infinitamente paziente, Beth (Amanda Peet). In un momento di rara difficoltà incontra Alex, che si occupa di alcune faccende per il dipartimento di assistenza alle vittime. I due flirtano su alcune passioni in comune – polpette e margarita – e presto si ritrovano a ballare sull’isola della cucina del monolocale di lei. Per Dan è un errore di valutazione. Per Alex, una pausa nella solitudine che prova nella nuova città. La storia diventa presto morbosa e, inevitabilmente, mortale.
La notizia di questo remake è stata accolta con un prevedibile e banale borbottio, del tipo: “Oh cavolo, scommetto che faranno di Dan il cattivo perché è un uomo bianco di successo e che trasformeranno Alex in una vittima”. Un’affermazione del tutto infondata, visto che anche nel film originale il Dan di Michael Douglas è un vero e proprio imbecille. Alla fine, certo, Alex esagera. Ma per il resto del film? È un imbecille.
Cosa non funziona nell’adattamento?
Il nuovo Attrazione Fatale, semplicemente, non vuole prendersela con Dan Gallagher. È vero, viene rappresentato come un esempio di privilegiato: è bianco, è un rampollo cui è stato affidato un lavoro, e anche quando sbaglia non ne subisce mai le conseguenze. Ma se accettiamo ciò che dice, cioè che non avrebbe mai ucciso Alex, l’unica conseguenza che ha dovuto sopportare è stata sproporzionata. È un idiota, ma non è un criminale.
La serie non ha nemmeno l’obiettivo di redimere completamente Alex. Nelle abili mani di Caplan, è un personaggio più simpatico. Ma per quanto la serie voglia essere sensibile ed empatica nella rappresentazione della sua evidente malattia mentale, l’escalation resta sproporzionata. È una vittima nella sua stessa narrazione, ma nella serie è ancora lei la cattiva.
Il remake è pieno di citazioni del film, minime (ad Alex piace la pelle nera, anche se non proprio il trench in pelle nera del film), palesi (ad Alex non piace proprio essere ignorata) o sciocchezze (ho detto che non è stato fatto del male a nessun coniglio, ma diamine: hanno comunque inserito dei conigli nella serie), ma allo stesso tempo suppone di essere superiore a quel film e alla sua scarica di adrenalina non-stop.
Il che significa che, a un certo punto, la serie smette di provare a essere scioccante, eccitante o sexy – le scene di amplesso in cucina sono limitate a un solo episodio e anche l’erotismo è scarso – puntando invece a un inconsistente lavoro intellettuale intorno allo scheletro della storia. C’è un intero processo con così tanti svarioni logici che non si può far altro che ridacchiare. C’è un episodio dedicato principalmente alla storia di Alex, e dirò solo che il suo problema è ovviamente legato alla figura paterna.
E, cosa peggiore, Ellen è una studentessa di psicologia, che un episodio dopo l’altro ascolta lezioni su Jung invariabilmente parallele alla storia di Dan e Alex. Un personaggio arriva persino a dire a voce alta che ci sarebbero delle somiglianze tra “quella roba dell’ombra” che Ellen sta studiando e le cose della sua vita.
Per quanto riguarda il materiale originale, Attrazione Fatale ha ben poco da dire sull’oggi. Dan che affronta le conseguenze delle sue azioni non è, alla fine, una metafora della cultura della cancellazione. Trasformare il loro rapporto in una relazione avvenuta sul posto di lavoro non regala una sfumatura #MeToo alla dinamica Dan/Alex. Mike fa un intero monologo sui difetti del sistema legale e sul processo di riabilitazione dei criminali, ma il tema di Attrazione Fatale non è chiaramente questo. E anche se si parla del fatto che nel 2023 “l’omicidio è un marchio” che affascina le persone, non c’è un collegamento con il nostro insaziabile appetito per i crimini veri – il che è strano, visto che Cunningham è stata l’autrice della più brillante antologia Dirty John.
Ma ci sono anche aspetti positivi.
Dalla coppia Close/Douglas alla coppia Caplan/Jackson
Caplan è una delizia nel ruolo che è valso a Close una delle sue nomination all’Oscar. È spaventosa, mai macchietta, e infonde al personaggio una potente solitudine.
Peet, già apprezzata in Dirty John, e soprattutto Jirrels, sono entrambi molto bravi a catturare il senso di distruzione e ricostruzione di quella vita che Dan ha fatto a pezzi. Guardando il film mi sono sempre chiesto quale fosse l’impatto di un simile trauma sulla piccola Ellen. Avrei sperato che la risposta non fosse un riassunto di Wikipedia sugli archetipi junghiani.
Il migliore di tutti è Huss, divertente e genuino nel ruolo di “migliore amico” da lui elevato a qualcosa di molto più godibile. Le scene del 2023 in cui il Mike di Huss e il Dan appena rilasciato diventano coinquilini in stile Strana Coppia sono anche i momenti migliori di Jackson. Per il resto, continuavo a chiedermi perché il team di parrucchieri e truccatori fosse stato così cattivo con lui e perché, dopo aver sperimentato per anni l’esplorazione dell’infedeltà (The Affair di Showtime), l’attore volesse stimolare un confronto con quest’ultimo ruolo.
Tornando al finale, senza anticipare nulla, la nuova versione targata Paramount+ di Attrazione Fatale ne ha due: uno sciocco e banale, l’altro ridicolo e demenziale. Potrei giustificare il primo in termini emotivi e il secondo in termini di psicologia pop. Ma non sarebbe comunque sufficiente a rendere questa serie degna di nota.
Traduzione di Pietro Cecioni.
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