Andrea Scarduzio: “In Italia se non stai in certi giri non lavori, non come negli Stati Uniti”

L'antagonista di Denzel Washington, che vedrebbe bene come presidente Usa, ci racconta la sua Hollywood, da The Equalizer 3 a Mission Impossible. La sua faccia è ora affissa sulla Sunset Boulevard di Los Angeles, uno schiaffo a tutte quelle mancate offerte provenienti dall'Italia in cui "se sei bravo vieni punito"

L’Italia è ridiventata appetibile per il cinema americano. Tante le produzione che hanno scelto il nostro Paese come luogo in cui ambientare i principali blockbuster in circolazione: da Mission Impossibile – Dead Reckoning di Tom Cruise girato a Roma e uscito a luglio fino a The Equilizer 3 – Senza Tregua con Denzel Washington, girato a Napoli e in uscita nelle sale il 30 agosto. Quando Hollywood si sposta per girare i suoi kolossal lo fa consapevole del fatto che quei posti richiameranno orde di pensionati americani che vorranno visitare proprio i luoghi meravigliosi visti in quel determinato film.

Fortuna vuole che il nostro Bel Paese oltre a paesaggi mozzafiato, cibo delizioso, città d’arte, offra anche maestranze cinematografiche introvabili in altri posti e dei bravissimi attori da coinvolgere in queste mega produzioni. Certo interpreti spesso confinati nei soliti ruoli da mafioso brutto e cattivo, in contrapposizione con il divo di turno di Hollywood bello, onesto e buono. Ma lo stereotipo, specie per il popolo americano, è duro a morire.

“Confermo. Spesso quando ci sono ruoli da italiano, proprio per un discorso di scrittura, può capitare che siano legati alla malavita, ruoli inevitabilmente stereotipati. Secondo me però in generale le cose stanno cambiando negli ultimi anni”, ci dice Andrea Scarduzio, protagonista di entrambe le pellicole citate, in partenza per Los Angeles dove lo attendono intense giornate di promo. Nell’ultimo film della Eagle Picture di Tarak Ben Ammar è l’antagonista malavitoso del protagonista Robert McCall, interpretato da Denzel Washington.

A giudicare dal suo ruolo non è che sia andato molto lontano dallo stereotipo mafioso.

È vero. Ma Vincent, il personaggio che interpreto nel film, è un bellissimo. Però mi sembra che le cose da quel punto di vista si siano un po’ aperte, stanno migliorando.

Pensa che potrebbe  avere un ruolo a Hollywood che non sia stereotipato?

Certamente sì! Altrimenti cosa stiamo a fare in America? Non possiamo rimanere ad aspettare sempre e solo per un ruolo da italiano! Il lavoro che sto facendo è proprio mirato a non essere catalogato esclusivamente come tale. Infatti ho già interpretato un pittore franco-ungherese nel lavoro su Picasso di Ron Howard. La serie era in inglese e mi sono preparato un accento ungherese.

Il fatto di essere un italiano a Hollywood non aiuta o sbaglio?

Storicamente noi attori italiani abbiamo sempre fatto un po’ fatica a lavorare in America, rispetto magari ai colleghi francesi, spagnoli o nordeuropei, lasciamo perdere poi britannici e australiani. Il mio obiettivo, il mio sogno è ambizioso. Per questo ho lavorato molto sull’inglese, sulla mia persona, sugli accenti. Pensi che da 15 anni mi alzo tutte le mattine e recito Shakespeare ad alta voce per un’ora e mezzo o due.

Serve per migliorare il suo inglese?

Vivendo in America mi sono reso subito conto dell’enorme lavoro che c’era da fare. Ho preso un dialect coach per cercare di ridurre il mio accento e di essere in grado di copiare quei suoni che noi non abbiamo. L’italiano a livello fonetico ha sette vocali, l’inglese americano ne ha 17 o 19, dipende dagli accenti. È proprio un discorso di sentire i suoni e di essere in grado di riconoscerli e replicarli, che è una cosa difficilissima, stiamo parlando della meccanica, di cose di cui non siamo neanche consci. È chiaro che leggere Shakespeare in originale è un livello di difficoltà assoluto, ma è solo una questione di allenamento.

È come andare in palestra e lavorare sul fisico?

In un certo senso. Solo che magari non vedi subito i risultati e dopo sei mesi qualcosa la cominci a notare. Mentre tra un giorno e l’altro ti sembra quasi inutile il lavoro che stai facendo.

Come stai vivendo questo momento di gloria?

Sono in partenza per Los Angeles, domani ho tre interviste programmate negli Stati Uniti. Ho una marea di promo negli States, mi si sta intrecciando il cervello. Sto vivendo questo momento con il cuore che mi scoppia di gioia e gratitudine.

Sei soddisfatto di quello che hai fatto e di come l’hai raggiunto?

Sì. Ho realizzato un sogno enorme. Lavorare con Denzel Washington e Tom Cruise è una di quelle cose che sogniamo tutti, consci del fatto che raramente si realizzano. Per anni lavori, lavori, lavori e spesso non vedi i risultati. E invece.

Il poster-trailer a Sunset Boulevard di The Equilizer 3

Il poster-trailer a Sunset Boulevard di The Equilizer 3

E invece il tuo viso che pubblicizza il film finisce addirittura su Sunset Boulevard a Los Angeles.

Sono quelle cose che, per quanto uno possa essere ambizioso, non le pensa come delle realtà possibili, soprattutto per un attore italiano che viene dalla campagna come me, da un piccolo paesino delle Marche.

Non sognavi Hollywood?

Onestamente è sempre stato il mio l’obiettivo. Se uno deve sognare deve farlo in grande. C’è un detto che dice: punta alla luna e anche se la manchi atterrerai tra le stelle. È importante puntare in alto non tanto per l’ottenimento dell’obiettivo, ma per il percorso che ti forza a migliorarti.

Anche quando richiede un periodo molto lungo.

In ventuno anni di carriera ci sono tantissimi momenti di difficoltà, di magra, di desolazione, momenti in cui molte persone vicine a me, amici, familiari, pensavano fosse il momento di smettere, che tanto non ce l’avrei fatta.

Che fine hanno fatto questi amici e parenti che le consigliavano di abbandonare? Li ha risentiti? Ha mandato loro le foto da Sunset Boulevard?

Onestamente no, perché per me non era importante sentire tutto quello scetticismo attorno a me per anni. Ovviamente feriva vedere la tua famiglia, i tuoi amici, che non avevano fiducia. Però alla fine l’ho vista come una cosa che era parte del mio processo di crescita come uomo, non solo come attore, perché era solo mia la responsabilità credere nel mio sogno, non degli altri. Certo magari a volte il supporto, soprattutto emotivo, dei nostri cari può aiutarti, però credo anche al rovescio della medaglia, sono quelle cose che ti permettono di forgiarti.

Immagino che adesso siano arrivati anche i complimenti.

I complimenti di queste persone lasciano un po’ il tempo che trovano, non hanno molto valore, nel senso che non è che mi sento gratificato perché mi arrivano congratulazioni da questa gente.

Avere il cartellone nella piazza principale del tuo paese oltre che a Los Angeles avrebbe magari aiutato a farli “rosicare” di più?

Qui nel paese? Ma chi se ne frega! No, no meglio lì  (ride ndr.).

Il film ancora non è uscito, magari la tua gente non percepisce quello che sta succedendo?

Chiaramente hanno visto il trailer. Anche ieri mio fratello stava guardando la partita su DAZN e lo hanno passato. Hanno sicuramente notato la cosa, sia in televisione che sui giornali o riviste, stanno uscendo un sacco di articoli, anche su testate americane. Il mese scorso ho preso addirittura un premio a Ischia.

Un percorso il suo iniziato ben ventuno anni fa, dicevamo.

Sì, quando iniziai a fare teatro qui nelle Marche. Un percorso di magra, travagliato e pieno di difficoltà abominevoli. Ho passato tanti anni all’estero, tanti piccoli ruoli, tante cose, tanti lavori. Ventuno anni sono lunghi.

Anni in cui le è successo di tutto?

Ho perso veramente tutto per via di un furto di identità. E poi un cancro, una moglie sparita, una deportazione, veramente ho avuto problemi enormi nella mia vita.

E in Italia perché non lavora?

L’Italia secondo me è una nazione che dà poco spazio al talento in generale. Lavorano sempre gli stessi, molte produzioni sono fatte in famiglia, in amicizia, a volte gli attori escono dal Grande Fratello o da Miss Italia. Non sto dicendo che non ci siano attori straordinari in Italia, come per esempio Pierfrancesco Favino o Luca Marinelli. Ho amici che sono attori pazzeschi, ma che non riescono a emergere. Io non ho mai lavorato in Italia, e la mia non è una polemica. Sto solo dicendo che non mi è mai stata data la possibilità di fare niente.

Si sarà pur chiesto come mai. Non ha un buon agente?

Non lavoro in Italia perché lavorando sempre gli stessi le possibilità che mi sono state date erano poche. In tutta la mia carriera avrò fatto una manciata di provini per produzioni italiane. Si possono contare sulle dita di una mano.

Eppure il talento dovrebbe fare la differenza? 

Io vedo ragazzi che escono dall’accademia, gente che fa teatro, gente che ha qualcosa da dire, con un’anima che ha sofferto, con storie di vita, che ha un bisogno di esprimersi viscerale, che coltiva da sempre il sogno di fare questo mestiere ed è invece costretta a fare il cameriere. Poi vedo uno che va a fare il Grande Fratello, chiuso dentro una casa per novanta giorni, che diventa invece subito un attore protagonista.

Perché secondo lei si inseguono personaggi popolari?

È chiaro che stiamo parlando di una pratica politica, poi magari ci si mette di mezzo pure il Vaticano, o dell’altro. E così via. Invece per Mission Impossible ho fatto un provino da casa mia, un selftape e mi hanno preso. Sempre da casa mia ho fatto il provino per The Equalizer 3 e mi hanno preso pure lì. Da casa mia, ha capito? Non sono dovuto andare a feste, a casa di altri, vivere situazioni equivoche, leccare culi o chiacchierare. Ho fatto semplicemente il mio lavoro, ho mandato il provino e sono stato preso.

Vincent (ANDREA SCARDUZIO) e Marco (ANDREA DODERO) in THE EQUALIZER 3

Vincent (ANDREA SCARDUZIO) e Marco (ANDREA DODERO) in THE EQUALIZER 3

Mi racconti meglio come è andato questo provino?

L’estate scorsa ero alle Canarie in vacanza, mi arriva l’email per fare il provino dai miei agenti, Francesco Vedovati e Barbara Giordani, i più bravi casting italiani. Guardo il materiale inviatomi – devo dire, mi è piaciuto subito molto – e me lo sono lasciato crescere dentro per un paio di giorni. Ho registrato la parte e l’ho mandata. Il giorno dopo, subito, a bomba, nonostante stessero facendo i casting da mesi, mi arriva l’email in cui mi comunicano che ero la prima scelta del regista, ma erano in attesa dell’approvazione da parte di Sony. Volevano conoscermi e fare una videochiamata. La settimana successiva ci siamo visti su Zoom con due dei produttori e la mattina dopo avevo l’offerta sul tavolo. Tutto molto snello, limpido.

In Italia è consapevole che una cosa così non succederà mai?

Ovvio. Qui dovevo fare un film di Roberto Faenza, ma non è mai partito. Qualche mese fa dovevo fare un film di Pasquale Rotondi, e non è partito nemmeno quello. Ho fatto un’altra cosa per Peter Greenway per Rai Cinema, che non è mai uscito. Non mi scorderò mai un provino per la RAI in cui mi dissero: “Sei bravo ma com’è che c’hai questi denti bianchi? Sembri americano! Infatti il tuo curriculum è molto americano! Anche la tua faccia sembra americana!”. Capito che cazzo di domande? Mi sono cascate le palle.

La meritocrazia in Italia viene dopo la popolarità?

La meritocrazia? In Italia se sei bravo vieni punito.

All’estero per gli italiani è diverso?

Sì, anche se l’Italia offre meno talenti all’America rispetto ad altre nazioni. La Francia ha grandi attori che lavorano a Hollywood e sono star di prima grandezza, Marion Cotillard o Vincent  Cassel, la Spagna ha Banderas, Penélope Cruz, Xavier Bardem, l’Austria ha Christoph Waltz. Per non parlare dei paesi dell’Europa del nord dove la recitazione è una cosa seria, è un’arte, è cultura.

Che ne pensi dell’attuale sciopero?

Assolutamente giustificato. È un danno per tutti. Però una ridistribuzione più equa è necessaria. Io sono stato in quella posizione, quella di non lavorare per anni. C’è assoluto bisogno che i diritti di immagine, la ridistribuzione dei diritti sia più equa. La minaccia dell’intelligenza artificiale nel cinema è concreta e vomitevole, perché qui si parla solo di profitti. Stiamo uccidendo centinaia di categorie che lavorano nel cinema.

Che mi dici Martin Landau?

Martin mi vide a teatro nel 2007 al Marilyn Monroe Theater a fare Sexual Perversity in Chicago. Una persona stupenda, di una dolcezza devastante, parlicchiava un po’ di italiano perché aveva girato la miniserie tv Giuseppe in Italia. Mi disse che aveva visto in me qualcosa di speciale e mi invitò come uditore all’Actor’s Studio, di cui era direttore artistico insieme ad Al Pacino. Mi commuove ancora il suo ricordo, la sua umiltà, il tempo che mi dedicò. Stiamo parlando di un premio Oscar, una vera e propria leggenda.

E di Tom Cruise?

Indescrivibile, ogni parola secondo me è riduttiva, la gente secondo me non si rende conto della sua grandezza. Sento tante malignità su di lui, ma è chiaro che quando hai un successo di quel livello hai tante persone che ti stimano, ma gli haters sono dietro l’angolo.  Con me è stato incredibile. Un uomo di una umiltà, gentilezza e carineria che ti spiazza e le cose che lui riesce a fare parlano da sole.

Finiamo con Denzel Whashington?

Enorme, enorme, enorme. Ma non l’ho scoperto incontrandolo per il film. Lo conosco per i suoi discorsi motivazionali che si ascoltano anche nelle sue interviste, le sue risposte, ogni cosa che quell’uomo dice è una perla di saggezza. Incredibile, la profondità e la conoscenza e la comprensione che mostra nelle sue risposte è veramente d’ispirazione.

Lo vedresti in politica?

Non credo che lui sia interessato alla politica, però penso che un uomo giusto, onesto, colto, genuino e sano come lui sarebbe un grande leader.  E sì, secondo me, sarebbe un presidente degli Stati Uniti straordinario.