Colman Domingo è stato candidato per la prima volta agli Oscar martedì 23 gennaio, per il suo ruolo da protagonista in Rustin, il film biografico diretto da George C. Wolfe su Bayard Rustin, attivista per i diritti civili apertamente gay.
Domingo recita da anni, recentemente in progetti molto diversi come Euphoria della Hbo (disponibile su Sky e Now) e il nuovo adattamento musicale de Il colore viola. Con Rustin, tuttavia, è riuscito ad allontanarsi dai ruoli di supporto per cui è noto sullo schermo e a finire in cima al foglio di chiamata, diventando protagonista del film. Il biopic, prodotto dalla casa di produzione degli Obama, Higher Ground, vede nel cast anche Chris Rock, Jeffrey Wright, candidato per American Fiction, e Da’Vine Joy Randolph, candidata per The Holdovers – Lezioni di vita.
Riflettendo sugli anni trascorsi nel settore, Domingo ha parlato con The Hollywood Reporter, all’indomani della sua nomination all’Oscar, dell’importanza di Rustin, della condivisione di questo momento con suo marito e dell’anno di successi che ha avuto con l’uscita congiunta de Il colore viola.
Si è svegliato presto per vedere le nomination?
Non potevo sopportare di guardare, quindi stavo rimettendo ordine all’armadio. Avevo bisogno di qualcosa da fare. Poi ho ciondolato per casa, camminando nel mio bagno e facendo il tifo gli amici. Quando ho sentito i nomi di Danielle Brooks, Da’Vine Joy Randolph e Sterling K. Brown ho perso la testa. Poi sono diventato molto nervoso quando si è parlato della mia categoria. Mi sono rintanato nel bagno e, all’improvviso – perché credo che il segnale della costa orientale arrivasse prima – ho ricevuto un messaggio dal mio manager che diceva: “Candidato all’Oscar”. È stato letteralmente un secondo prima che mio marito lo scoprisse. Ho preso il telefono e l’ho rimesso giù. Ero sbalordito, quasi come se non fosse successo. Poi mio marito ha sentito la notizia, si è sdraiato sul pavimento e ha iniziato a piangere.
Ci sono state persone che ha dovuto chiamare immediatamente?
Sì, ho parlato con Danielle Brooks. E con Da’Vine. E, naturalmente con mia nipote. È come se fosse mia figlia, era così orgogliosa e affettuosa con me. E poi, naturalmente, tra il turbinio di telefonate e messaggi e tutto il resto, ho chiamato i miei amici più cari. Alcune persone chiave di cui ho bisogno, anche per ricordare a me stesso che sono davvero al mio fianco per molti, molti anni.
Lei lavora in questo settore da molti anni e ha interpretato molti ruoli incredibili. Come ci si sente a ricevere questo tipo di riconoscimento, che forse finora non aveva percepito da parte dell’industria?
È stato un percorso così lungo e tortuoso. Non mi sarei mai aspettato questo tipo di successo. Sapevo di impegnarmi nel mio lavoro. E ovunque si presentasse, nei teatri regionali, a Broadway, off Broadway, volevo solo fare un buon lavoro. Quando ho avuto questa opportunità, ho capito che ero pronto per coglierla. Ed essere protagonista, soprattutto in un film su Bayard Rustin, nel modo in cui lo abbiamo fatto con questo incredibile regista, George C. Wolfe, è stato uno dei regali più belli della mia carriera.
Sapevo di volerci mettere tutto quello che potevo. Lo stavo dicendo giusto ieri a Bradley Cooper, che ha visto il mio film e mi ha telefonato. Gli ho detto – e lui mi ha detto che si sentiva così con Maestro – che se anche questo fosse il mio ultimo film, questo è il modo in cui l’ho affrontato, dando tutto. Sono trentatré anni che lavoro. Volevo dare tutto quello che avevo, e so di averlo fatto. E lui pensava la stessa cosa di Maestro.
Quando ha ricevuto per la prima volta il copione di Rustin, qual è stata l’impressione iniziale? Ha subito pensato: “Devo farlo”? Era in apprensione?
Ero molto contento che la storia di Bayard Rustin venisse raccontata. La conoscevo, ma so che molte persone non la conoscevano. E l’approccio, a mio avviso, era unico. Mi è sembrato molto intimo e personale, su questa persona che ha fatto tanto e ha dato tanto per le nostre libertà civili. E quindi la cosa che sapevo è che credo di avere tutto dentro di me, l’esperienza, la curiosità e i mezzi per affrontare questo lavoro. Non sono una persona che dice “Oh, ho capito, devo farlo”. Sentivo di avere tutto quello che mi serviva e di essere curioso.
Credo che sia stato un momento di gratitudine – una gratitudine profonda – per il fatto che qualcuno mi avesse affidato questo lavoro, soprattutto sapendo che proveniva dagli Obama e dalla Higher Ground e da Bruce Cohen e George C. Wolfe. Ma ho anche pensato: “Sono un po’ terrorizzato, perché questa è un’opportunità unica, non solo per essere protagonista del film, ma anche per il modo in cui dovrei essere protagonista di questo film”. Poi sono entrato in modalità lavoro. Quindi, non avevo tempo per essere terrorizzato.
Quello che dovevo fare era rispettare il materiale, in modo da poter guidare il film ed essere l’anima della produzione, nel modo in cui credo che Bayard Rustin avrebbe voluto che lo facessi. Sapevo che era un’opportunità unica per dare tutto quello che avevo, per far uscire dall’ombra della storia questo eroe americano, che è stato così emarginato, e so che sarebbe molto felice che ad interpretarlo sia un uomo apertamente gay. Il film è diretto da un uomo apertamente gay, è prodotto dagli Obama, ci sono così tante cose straordinarie. Non c’erano scuse per non dare il massimo.
In effetti ha un certo valore, nel clima odierno, che un attore apertamente gay che interpreta un personaggio apertamente gay sia candidato come attore protagonista.
È emozionante anche per me, perché so che è una cosa storica, sotto molti punti di vista. E sono felice che la gente abbia potuto vedere la maestria, l’etica e il lavoro che c’è dietro. Sono sopraffatto, per molti aspetti. Ma l’aspetto più straordinario, per me, è che amo il fatto che più persone conoscono il mio nome, più conoscono il nome di Bayard Rustin.
È stato un anno così importante per lei, con anche la partecipazione a Il colore viola. Com’è stato avere entrambi i film in uscita nello stesso anno?
Sono molto grato, perché Rustin doveva uscire l’anno scorso. Poi è stato spostato a quest’anno. Ed ero molto nervoso, perché ho pensato: “Si tratta di due film enormi e molto diversi per quanto riguarda la mia recitazione”. E ho pensato anche: “Ok, come farò a promuoverli? Sono già sopraffatto”. Credo che tutto accada per una ragione. Mi piace l’idea che la gente possa essere testimone del modo in cui voglio mostrare uomini neri complessi, esperienze molto diverse, uniche, e il modo in cui convivono tutte dentro di me.
Ogni attore che si rispetti vorrebbe questo: poter essere visto come attore nel modo in cui vedo me stesso, cioè senza limiti. È un’opportunità straordinaria. Adoro far parte de Il colore viola. Penso che sia un film così bello e magnifico. Naturalmente, avrei voluto che ricevesse più affetto. Penso che sia straordinario. Ma credo che continuerà a emozionare la gente, visto che è in giro per il mondo, e la gente continuerà a scoprirlo. Ed è qualcosa di cui sono molto orgoglioso.
Ha citato Bradley Cooper in Maestro. Ci sono altri film o nomination di quest’anno che l’hanno personalmente commossa?
Oh, personalmente mi ha commosso la mia collega de Il colore viola Danielle Brooks. Vederla lavorare e recitare in una scena cruciale al tavolo della cena di Pasqua mi ha tolto il fiato. Conoscevo Danielle da anni, quando è uscita dalla Juilliard, quindi non potrei essere più orgoglioso ed emozionato per lei. Anche Da’Vine Joy Randolph: siamo amici; siamo entrambi di Philadelphia. Sono molto felice per lei. David Oyelowo ha creato questo bellissimo cortometraggio intitolato The After.
Persone come Bradley, Paul Giamatti e Cillian Murphy, siamo diventati tutti amici in questa corsa. Li rispetto e li ammiro molto e li sto conoscendo meglio. Non potrò mai fare abbastanza il tifo per loro. Non è mai una gara. Ogni volta che qualcuno ha vinto un premio, sono il primo ad alzarmi e a urlare per loro. Perché conosco il loro lavoro. E in questo senso si tratta di un gioco abbastanza casuale, quando si tratta delle vittorie. In questo momento, questa è la vittoria, essere nella stanza, sentire chiamare il tuo nome insieme a quello dei tuoi colleghi e sapere che il tuo lavoro è amplificato, sapere l’impatto che ha sul mondo. È davvero bello.
Sa già chi sarà il suo accompagnatore alla cerimonia? Presumo che porterà con sé suo marito.
Lo sto guardando; è seduto di fronte a me in questo momento, nel mio ufficio. Assolutamente sì. Perché non ci sarebbe questo momento senza di lui. Stiamo insieme da quasi 19 anni. E lui è con me da quando ho iniziato, quando lavoravo nei teatri regionali. Ci siamo incontrati per la prima volta quando ero al Berkeley Rep a fare uno spettacolo, e mi ha accompagnato nel mio viaggio nel teatro, durante la perdita dei miei genitori. Mi sostiene, mi ama, mi aiuta a crederci e mi incoraggia. È sempre accanto a me, quindi ovviamente, in quel momento, sarà accanto a me.
C’è qualche star che sarebbe curioso di incontrare agli Oscar?
Spero davvero che vengano i miei produttori esecutivi, gli Obama. Spero che siano anche loro i miei accompagnatori, perché li ammiro molto.
Ci sono tipi di ruoli o generi di film che le interessa affrontare in futuro?
Mi piacciono i ruoli da caratterista. Se ci fosse qualcosa che Yorgos Lanthimos ha in serbo per me, adoro questi registi con menti davvero folli. Mi piacerebbe fare qualcosa di simile a Povere creature!, qualunque sia il genere in cui si colloca. Sento di voler lavorare con registi sperimentali e con chiunque voglia spingermi oltre i limiti di ciò che faccio, fisicamente, emotivamente, nella costruzione di mondi.
Per me si tratta sempre di assicurarmi di fare cose diversissime da qualsiasi cosa mi abbiate visto fare in precedenza. Non mi piace fare la stessa cosa due volte. Voglio qualcosa che continui a mettermi alla prova e non deve essere per forza un grande film di richiamo, può essere anche un piccolo studio su un personaggio.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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