Una serie tv, la quarta, che si sta girando in questi giorni in una Napoli afosa. Una quinta e una sesta serie in attesa di finanziamenti. Un film, annunciato, in fase di scrittura. Questo il biglietto da visita di Ivan Silvestrini, regista di Mare Fuori, il prison drama, amatissimo dalle nuove generazioni, che ha scalzato dalla memoria dei boomer Mery per sempre e il relativo sequel Ragazzi Fuori, gli indimenticabili film di Marco Risi sui detenuti del carcere minorile di Palermo.
Nuova la location, l’Istituto Penitenziario Minorile di Napoli e nuovo il cast. Al posto di Michele Placido troviamo Carmine Recano. I giovani detenuti dell’epoca, Claudio Amendola e Francesco Benigno, sono stati sostituiti da Massimiliano Caiazzo e Matteo Paolillo. Manca ancora, dopo solo 4 stagioni, una Mery, la transessuale magistralmente interpretata all’epoca da Alessandra Di Sanzo. In compenso, alla fine della terza stagione è apparsa una timida storia gay. La serie Rai, prodotta da Picomedia e cooptata da Netflix, ha dei dati sorprendenti: 105 milioni di visualizzazioni su Raiplay per un totale di 45 milioni di ore di visione. Ciliegina sulla torta un interesse della HBO per una trasposizione texana.
Com’è girare una serie così inaspettatamente di successo?
È splendido sapere, dal punto di vista di un narratore, che quello che fai ha un pubblico che non vede l’ora di vederlo. È una condizione rarissima per un regista. Normalmente facciamo delle serie sperando di intercettare l’interesse di chi ci guarda. Aver guadagnato tanto pubblico, avere questo patrimonio di interesse, ti mette nella condizione di dare un valore sacrale a ciò che fai.
Sente anche la responsabilità delle cose che Mare fuori racconta?
Sono consapevole che ogni giorno sul set stai forgiando l’immaginario di una generazione, specialmente dei giovanissimi. Avendo un figlio di 10 anni, mi sono posto anche molto il problema. Pensando a lui mi chiedevo ‘Come racconterò certe cose’? Il sesso, le storie d’amore fra due ragazzi, la violenza, gli abusi di un genitore sui figli. Ci sono dei temi molto forti, e ho cercato di raccontarli assecondando la mia sensibilità, accogliente e progressista.
Ci è riuscito?
Sono rimasto molto colpito dal test che ho fatto su mio figlio, che aveva appena scoperto l’esistenza dei gay. Quando nella serie ha visto due ragazzi, che a un certo punto si capiva che stavano insieme e si baciano, mi ha chiesto: ‘Ma quei due si amano?’, io ho trovato molto commovente questa cosa perché era proprio ciò che speravo.
Le cose stanno cambiando?
Io sono cresciuto in una generazione in cui l’immagine di due ragazzi che si baciano era considerata anormale, atipica. Crescendo, mi sono reso conto di quanto bisognasse fare qualcosa dalla nostra prospettiva di narratori, affinché questa percezione del mondo cambiasse. Anche il mio primo film parlava di questo.
L’omofobia nella serie è ben rappresentata
C’è un personaggio molto giovane, Micciarella, che non accetta che il fratello Cucciolo sia gay. Ha una repulsione. Nella prospettiva in cui noi raccontiamo la storia, il ragazzo che ha un problema non è certo il fratello che è gay, ma lui che non lo accetta. E questo in qualche modo cambia un po’ la narrazione di certi temi.
Come minimo la Rai di oggi vi avrà chiesto di far morire al più presto i personaggi gay
No! Per fortuna no. O meglio, non ancora. E speriamo non lo faccia!
Ci sarà quindi uno sviluppo della storia omosessuale?
Per forza ci sarà uno sviluppo. È rimasta incerta di proposito e il finale è ancora apertissimo.
Finale tragico come per Pirucchio, il ragazzo redento che però muore subito?
Non lo posso dire.
La storia di Pirucchio però è stata emblematica, perché raccontate che anche chi cerca di redimersi fa comunque una brutta fine.
Può essere vista così, ma dipende anche dai meccanismi narrativi. Spesso i fan scrivono cose tipo “vogliamo che siano tutti felici, per favore fateli essere felici”, io invece penso che il giorno in cui questi personaggi saranno sereni e realizzati, le loro storie saranno finite. La narrazione si basa sulla problematicità di alcuni personaggi. La storia di Pirucchio, per certi versi poteva considerarsi conclusa già alla fine della seconda stagione, perché lui aveva ritrovato i suoi genitori e quindi avremmo potuto anche lasciarlo così, ma si è deciso di raccontare un pezzo in più, per far vedere che spesso entrando in certi giri, è difficile uscirne.
Alla fine di Mare fuori, comunque, si muore.
Purtroppo, a volte sì. Per me una storia ideale è quella che ha il più sofferto tra gli happy ending possibili. Non sono per i finali tragici e basta, dove tutto va male, muoiono tutti e fine. La morte di Pirucchio ha qualcosa di tragico, di straziante.
Anche la musica scelta per la serie ha conquistato il pubblico.
Le musiche in Mare Fuori sono una specie di personaggio invisibile, sono molto presenti. Quelle di Stefano Lentini, di Raiz, le canzoni di Matteo Paolillo insieme a Lollo Flow, al suo producer e qualche incursione come quella di Liberato, sono state fondamentali per il racconto. Nell’ultima stagione, durante il rave di Crazy J c’è un brano che ho composto io, che faccio musica elettronica. Mi è servito per creare un costante clima epico ed empatico intorno a certi momenti. Sono felicissimo che la sigla sia diventata una specie di secondo inno nazionale.
Intonato spesso allo stadio Maradona.
È stata una grande emozione vederla cantata nello stadio per lo scudetto del Napoli, nelle strade, nelle piazze di notte. Un’esperienza da brividi, sono felice per loro e per aver contribuito affinché queste canzoni diventassero così ascoltate.
Quali sono i personaggi di Mare fuori che ti hanno dato più soddisfazione?
Sono molto affezionato a quasi tutti i personaggi, ma quello di Rosa Ricci, interpretato da Maria Esposito, lo sento particolarmente vicino, perché a differenza di altri attori, lei l’ho scelta io. Ha esordito e lavorato solo con me. Ho curato io il modo in cui lei si comporta, e vederla così amata è una sensazione bellissima. Con Carmine (interpretato da Massimiliano Caiazzo), invece, sono riuscito a farlo evolvere in una maniera straordinaria. Insieme fanno una coppia fortissima.
Romeo e Giulietta in salsa gangsta partenopea
Ovviamente la loro storia richiama degli archetipi antichi come Romeo e Giulietta. Un amore impossibile osteggiato da due famiglie di camorra. Abbiamo semplicemente attualizzato questo mito eterno.
Come è arrivato Mare Fuori nella tua vita?
Un po’ all’improvviso. Venivo da un’esperienza su Netflix che si chiamava Zero, di cui avevo diretto le ultime tre puntate. Il mio agente mi aveva parlato di questo Mare Fuori. Mi ha proposto a Roberto Sessa, il produttore che ha poi ha indagato su di me per capire se potessi essere il regista giusto. Mi sembrava un ottimo progetto per spingere su delle situazioni molto forti, con grande potenziale emotivo, anche se io non sono un amante delle serie prison drama, perché le trovo molto claustrofobiche, non le guardo mai.
Come recita la vostra canzone ‘O Mar for “Napl a ca dind par assai luntana” (Napoli da qua dentro sembra piuttosto lontana)
La serie non è così claustrofobica. C’è uno studio di sceneggiatura molto preciso sul rapporto tra interno e esterno del carcere. Un certo numero di scene devono farci respirare ed uscire. Tra flashback, permessi, storie dei genitori o degli educatori che vivono fuori dal carcere. Questo ci permette di vedere Napoli non solo attraverso le sbarre, ma anche con i personaggi che ricevono continuamente permessi per uscire.
Ha detto nella conferenza stampa che il personaggio della nuova direttrice darà tante soddisfazioni?
Darà tante soddisfazioni e a me per primo.
Che cosa farà di clamoroso rispetto a quello che ha fatto la direttrice precedente?
La storia tra i personaggi di Recano e Crescentini, in qualche modo è finita perché cominciava ad andare tutto troppo bene, quindi c’è stato bisogno di innestare nuova linfa, inizialmente caotica e sgradevole per l’entrata in scena di Sofia, un personaggio magnificamente interpretato da Lucrezia Guidone. È il classico personaggio da odiare, e mi sono proprio divertito a renderla detestabile in primo momento. Nella terza stagione abbiamo intravisto quali sono i suoi traumi, perché è diventata così. Verso il finale di stagione abbiamo visto che non è così irragionevolmente ostile.
E quindi?
Imparerà a conoscere questi ragazzi, a sviluppare dei rapporti con loro per forza di cose, e lo farà in maniera diversa dal modo materno con cui l’ha fatto Paola. Alcuni dei rapporti che lei creerà con i ragazzi resteranno impressi nel cuore. Così come in passato il comandante legò con Carmine, che era quasi un secondo figlio per lui, non posso dire come e con chi, ma avremo delle sorprese in questo senso.
Ci saranno nuovi innesti?
Ci saranno, ma non posso veramente parlarne. Non saranno tantissimi in questa stagione, un po’ per l’età degli attori e un po’ per la chiusura naturale delle storie. Sarà la stagione con cui saluteremo molti dei nostri beniamini, alcuni dei quali, magari, avranno poi un vero finale nel film.
Li farete morire tutti?
Morire, andar via, che cosa posso dire? Che importa? Come in ogni stagione, avremo dei commiati dolorosi, ma questo è il pane di Mare Fuori. Anche il saluto di Paola è un momento dolorosissimo, ma anche potentissimo. Le ultime scene in cui lei fa il giro dell’IPM prima di andarsene sono strazianti, perché sappiamo che forse non la rivedremo più. Dico forse perché la vita è lunga, e lei è molto legata a questa serie.
Diventerete come Beautiful, che fa resuscitare i personaggi più amati dal pubblico?
Dovresti parlare con gli sceneggiatori. Abbiamo avuto degli attori straordinari, penso a Giacomo Giorgio con cui io ho lavorato poco. Interpretava Ciro nella prima stagione e ad oggi risulta morto, ma su di lui c’è stato un grande dibattito popolare.
Lo avete riportato in vita grazie a qualche flashback.
C’è stato un grande dibattito popolare, sul fatto che non lo vorrebbero morto. Non sta a me deciderlo, non decido della vita o della morte dei personaggi. Io decido solo quanto farà soffrire. Lui però è un attore con cui avrei piacere a lavorare di nuovo e di più. Non so se ci sarà modo di vederlo di nuovo vivo in Mare Fuori, ma io spero che possa tornare.
Qual è la scena che ti ha più commosso, in cui hai pianto veramente?
In realtà piango molto spesso, montando Mare Fuori e a volte persino girando. Ci sono alcune scene commoventi, ma quella più potente per me è quella del perdono di Carmine a Totò nella seconda stagione. Quando lui lo abbraccia, in quel momento magistralmente montato da Brunella Perrotta, con la musica che sale nel momento giusto, l’emozione ti sfonda. Ogni volta che la vedo sto male. Anche la morte di Viola mi tocca molto, come i secondi che seguono il momento in cui Rosa spunta dal terrazzo gridando a Carmine che la bambina sta bene; mi commuovo solo a pensarci. Poi l’addio di Filippo, che è una sequenza di un quarto d’ora in cui saluta tutti i compagni, uno dopo l’altro. Il più toccante è il saluto con Cardiotrap, che mi ha veramente spaccato il cuore.
Invece la più rognosa qual è stata?
La morte di Viola è stata una delle scene più complesse della mia vita. Prima di ora non avevo mai avuto il lusso di girare la stessa scena per più di un giorno e mezzo nella vita. Ci abbiamo messo due giorni e mezzo, per vari motivi. È una scena che si svolge tra un terrazzo, tra ciò che accade sotto, ciò che accade sopra, stunt, neonati, azioni sul corrimano, con attrici che facevano in prima persona ciò che vedevate sullo schermo. Ovviamente in sicurezza, ma lo facevano davvero. Maria Esposito si è slogata una caviglia per saltare sul cornicione. Ha dovuto farla tre volte, sotto il sole, controluce…
Sono state annunciate anche la quinta e la sesta serie.
Questo è tutto in divenire. Io intanto sto lavorando duro per la quarta stagione, perché abbiamo dei punti in meno sulla carta. Partiamo svantaggiati perché abbiamo perso degli attori amati e sappiamo che c’è grande attesa.
Contento di essere stato preso anche per il film?
Molto felice. Spero che riusciremo a farlo al meglio. La notizia è uscita in maniera un po’ prematura, siamo ancora in fase di brainstorming iniziale con gli sceneggiatori. Io spero che il film possa fare quello di cui il cinema ha veramente bisogno, cioè riempire le sale di un pubblico giovane, che magari non è mai andata ancora al cinema.
Sappiamo che il film non prenderà il nome della serie. Dipendesse da te, come lo chiameresti?
Il modo in cui lo chiamerei io contiene uno spoiler che non posso farti. Cito Roberto Sessa che ha detto una frase forse involontariamente sibillina: “Le prospettive di Mare Fuori sono rosee!”
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