“Surreale, direi che è la parola più adatta per definire il tutto”. Elettra Pizzi, produttrice italiana di base a Londra, scoppia a ridere quando racconta a THR Roma la reazione alla qualificazione di Good Boy, corto prodotto con la sua 130 Elektra Films insieme a Kay Loxley e Max Marlow, alla shortlist degli Oscar 2024.
Esordio alla regia di Tom Stuart – già co-sceneggiatore di Mainstream di Già Coppola, qui in veste di produttrice esecutiva – il corto dai contorni autobiografici vede protagonisti Marion Bailey e Ben Whishaw nei panni di una madre e suo figlio, il cui tentativo di rapinare una banca naufraga a causa di bizzarre manifestazioni del loro passato. “Ben è stato coinvolto nel progetto molto presto. In realtà è stato proprio lui a spingere Tom ad esordire alla regia”.
Com’è stato scoprire di essere nella shortlist degli Oscar 2024?
Pazzesco! Abbiamo veramente fatto tanto lavoro di promozione negli ultimi due mesi. Ma soprattutto considerando che siamo contro Wes Anderson (La meravigliosa storia di Henry Sugar, ndr) e Pedro Almodóvar (Strange Way of Life, ndr). Veramente non ce l’aspettavamo. Eravamo prontissimi ad aver provato tutto senza riuscirci.
Che tipo di lavoro c’è stato? Come si mette in moto la macchina promozionale per poi sperare di arrivare in quella rosa di nomi?
Abbiamo lavorato molto tramite i social (@goodboy_short e @goodboy_film) per creare una conoscenza online. In modo tale che se qualcuno va a cercare il film riesce ad ottenere informazioni. Poi, in realtà, è tutto in mano ai membri dell’Academy che hanno guardato il film che si è qualificato su 184 titoli. Stessa cosa per i BAFTA. Scopriremo se siamo nella longlist il prossimo 5 gennaio.
Com’è entrata a far parte di questo progetto?
Ci sono stata fin dall’inizio. Tom mi è stato presentato tramite un comune amico regista. Ho fatto vari corti, lavoro anche come produttrice televisiva da diversi anni. Tom, invece, aveva scritto un film presentato a Venezia 77, Mainstream, con la regista Gia Coppola che in Good Boy è anche era una delle nostre produttrice esecutive. Mi ha mandato la sceneggiatura ed era bellissima. È uno scrittore meraviglioso.
Abbiamo iniziato a lavorare insieme ed essendo uno studio piccolo e indipendente ho tirato in mezzo altri due produttori che conoscevo – Kay Loxley e Max Marlow – perché per un film di questa portata ci vuole tempo e amore. Abbiamo girato ad aprile sullo spazio solitamente riservato a Glastonbury mentre stavano allestendo per il festival che avrebbe aperto qualche settimana dopo. Emily Eavis, che gestisce il festival, ci è stata di supporto.
Come si lavora tra produttori per fare in modo che la visione delle singole individualità sia rispettata?
Ognuno ha un ruolo molto diverso. Nonostante ci siano tanti nomi, ognuno ha coperto uno spazio particolare all’interno del progetto. Io, Max, Kay e Tom siamo quelli che hanno guidato maggiormente la parte progettuale in termini di day-to-day, chi più dalla parte creativa, chi più dal punto di vista di press e social media. Abbiamo punti di forza diversi e questo ci ha permesso di creare una squadra capace di funzionare.
Good Boy vede protagonisti due nomi importanti, Ben Whishaw e Marion Bailey. Come si concilia questo con un budget contenuto e la volontà di realizzare un prodotto di qualità?
Ben è stato coinvolto nel progetto molto presto. In realtà è stato proprio lui a spingere Tom ad esordire come regista perché si conoscevano già da molto. Marion è stata la persona alla quale abbiamo pensato immediatamente per il ruolo. Inoltre aveva già lavorato con Ben. Le abbiamo offerto la parte e lei ha accettato subito. Da lì, ovviamente, una volta che hai due nomi così grossi ci vuole un’infrastruttura dietro che sia ben fondata. È proprio il ruolo del produttore cercare di assicurarsi che la performance non venga condizionata dall’essere un corto.
Avete pensato, visto il successo che sta ottenendo il corto, di trasformarlo in un lungometraggio?
Sì, ci stiamo pensando. Ma in questo momento vogliamo spingere il più possibile il corto e poi vedremo.
Che tipo di difficoltà ha riscontrato in questi ultimi anni nel suo settore?
Sono stati anni di varie tensioni per il Covid e ora anche per gli scioperi che hanno avuto un impatto anche qui nel Regno Unito. C’è tantissimo crossover di attori inglesi che sono parte delle union americane. Molte produzioni inglesi si sono fermate così come le americane che girano in Inghilterra dato che c’è un mercato enorme di produzioni anglofoni che girano qui per motivi di costo. Tra il Covid e gli scioperi c’è stato un boom di produzione pazzesco, dove era impossibile però trovare risorse. Si spera che quest’estate, ora che sono finiti gli scioperi, riprendano in modo più normale.
Come ci si muove da studio “piccolo e indipendente” rispetto a un mercato molto competitivo e ricco di case di produzione. Come si emerge in un quadro del genere?
È sicuramente molto difficile. Forse la cosa che più semplifica rispetto a uno studio è la flessibilità nella scelta di progetti e la velocità alla quale si può operare. Siamo in pochi, possiamo prendere decisioni molto velocemente e anche a livello creativo si lavora molto sul progetto personale e di passione. Good Boy, ad esempio, è un film molto legato al regista e alla morte di sua madre. È incredibilmente personale.
Ci sono case di produzione a cui guarda con ammirazione?
A24 è meravigliosa, Hanno un senso creativo veramente fantastico e molto fresco. Anche il mercato inglese ha tanti piccoli produttori indipendenti come me che riescono a realizzare dei progetti che poi hanno successo e riscontro. Anche se è indubbiamente molto difficile. Un esempio è stato Macbeth, un film meraviglioso di Joel Coen uscito un paio di anni fa partito come indipendente.
Come ha iniziato? Ha sempre voluto fare la produttrice?
L’ho sempre voluto fare. Ho fatto l’artistico di Brera a Milano quando ero al liceo e avevo un gruppetto di amici con la quale facevo piccoli cortometraggi per divertimento. Uno di loro voleva fare il regista e io mi sono messa a fare la produttrice. Mi è piaciuta tantissimo quella dinamica, ed è un ruolo che capisco sia molto diverso in Inghilterra rispetto all’Italia.
Qui è un misto tra la parte creativa e la parte più finanziaria, logistica e tecnica. È proprio quella divisione al 50% che a me viene molto naturale e sulla quale ho costruito. Mi ha stupito che potesse essere una carriera vera (rida, ndr): il fatto che potessi riuscire a divertirmi e fare dei film, collaborare con tante persone, conoscere esseri umani, storie diverse, bellissime e, addirittura, renderlo un lavoro incredibile.
Sta già lavorando ad altri progetti?
Ho un lungometraggio in sviluppo. È una commedia da girare tra Belgio e Francia. In realtà sono al settimo mese di gravidanza, quindi prenderò una pausa dopo gli Oscar (ride, ndr).
Un’ultima domanda: qual è il genere di film che predilige?
Se avessi potuto produrre Into the Wild sarei stata la persona più felice del mondo. È un film meraviglioso. O un dramma storico come La Favorita.
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